Nostalgia…

Nostalgia…

Il Tango non è più in cima ai miei pensieri. Lo è stato a lungo. Ne seguo le sorti da quasi una decina d’anni. So che altre passioni, a parte quella per la montagna, non sono mai andate oltre i 10 anni. Si sono esaurite molto prima. Dieci: un limite invalicabile. Speriamo bene. Il tango mi fa tanta nostalgia. Ecco…, ciò che oggi provo per il tango in generale è soprattutto nostalgia.

E allora di palo in frasca, a 360 gradi. Senza criterio. Zero regole, semplicemente assecondando l’umore, prendendo al volo ciò che salta per la testa.

Un esempio consolatorio…? Game of Thrones… anche in lingua originale con sottotitoli, anche in streaming, anche su web, pur di beccare gli episodi della sesta stagione. La deriva è a buon prezzo, non costa nulla. E di questi tempi…

a Vanvera

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Dieta Musicalizador & Co. Seconda parte

… Continua dalla Prima parte… 

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29.4 – Dieta… secondo comandamento – In pellegrinaggio per un saluto – Pregi e difetti – Dieta… terzo comandamento – Vademecum home made – Dieta… non mangiare… bere! – Buenos Aires e la Via Lattea.

Pensavo a qualcosa di meglio…
Più che sul tango, è sulla libertà…

Dieta… secondo comandamento

Non è mai consigliabile resistere alle tentazioni della gola, nemmeno per chi voglia dimagrire. Alla lunga, tentazioni non soddisfatte generano stress mentali e corporali permanenti, con picchi depressivi da una parte e inevitabili ricadute fameliche dall’altra. Nel breve e temporaneamente potrebbe anche funzionare, a lungo termine invece i chili in surplus non si conteranno e tale condizione sarà cronica e inattaccabile.
Meglio sarebbe evitarle, scansando il loro nefasto influsso. Come?

Una possibile soluzione, sarebbe quella di liberarsi delle riserve di cibo, che ingombrano a tal punto le cambuse di tutte le case, manco si fosse sull’orlo di una imminente carestia.
Mantenersi in linea, con la casa piena di cibo è molto difficile se non impossibile. In genere i nostri corpi ingrassano dentro le mura domestiche, il luogo più adatto per un lento e inesorabile disfacimento, al riparo da occhi estranei. Ingurgitarsi dentro casa dà la tranquillità di non essere visti, anche se poi nessuno può illudersi di nascondere al resto del mondo, pancia, fianchi e doppi menti fuori misura.

Fare la spesa una sola volta per tutta la settimana è sbagliato. Non è pensabile impegnarsi a dimagrire con i pensili e le madie costantemente stracolmi.

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Azzarderei pertanto che il secondo comandamento per chi desideri dimagrire o non ingrassare, è tenere frigo e dispense vuoti, semivuoti: lo stretto necessario per un giorno o due, optando per i freschi e lasciando confezionati, insaccati, sotto vetro e conservati vari, sugli scaffali. Con poco o niente da mangiare in casa, le tentazioni che quotidianamente e implacabilmente ritornano, resteranno pii desideri, a cui sarà facile rinunciare, visto che non ci sarà alcunché per appagarle. Mantenersi a debita distanza dalle taglie con la doppia x davanti, non sarà più un’utopia o una speranza.

In pellegrinaggio per un saluto

Una delle prassi più curiose che si possono assistere in milonga è l’abitudine di molte persone, sopratutto mujeres, di recarsi alla postazione del musicalizador per porgere un deferente saluto. Questo rituale avviene subito, una volta all’interno del locale, ancor prima di trovare un posto dove mettersi. I milongueros, in tipica postura da inchino cortado, quasi non volessero farsi notare, si presentano defilati e alla spicciolata davanti al banchetto del musicalizador e porgono la propria mano in segno di rispetto e ammirazione. Mancherebbe solamente la genuflessione. Molti si sentirebbero in animo e in dovere di farla, ma ancora, che si sappia, nessuno ha mai avuto sì tanto coraggio.

Il musicalizador da parte sua è più imbarazzato che compiaciuto di fronte a tanta immeritata altrui deferenza, anche perché i momenti in cui queste mini processioni avvengono, coincidono con la fase iniziale della serata, una delle più delicate dal punto di vista dell’impostazione e delle scelte musicali da fare, compresa la messa a punto dell’impianto audio, la ricerca dell’equilibrio acustico delle casse, e via dicendo. Il musicalizador in questi frangenti si sente sotto pressione e a tutto aspirerebbe fuorché stringere mani e allargare la faccia per ricambiare e simulare sorrisi. Quindi il suo desiderio più pressante è tagliare in fretta e lasciare questi pellegrini del tango al loro destino.

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Dieta Musicalizador & Co. Prima parte

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29.3 – Dieta…, dieta cosa…? – Alla consolle – La leggenda del bravo musicalizador – Dieta…, come fare…? – Bugia o sincerità – A chi piace… a chi no – Dieta…? Mangiare di meno – Rapporto sull’energia.

Vuol dire che farò uno sforzo!
Uno sforzo…? Ma per l’amor del cielo… ci mancherebbe…!

Dieta…, dieta cosa…?

A dieta da otto settimane. Sta funzionando. Non è una vera e propria dieta. Ho solamente ridotto le quantità abituali di cibo e temporaneamente eliminato il pane… il mio adorato pane. Facile a dirsi, molto difficile a farsi. Almeno così credevo.

Alla consolle

Sono concentrato. Una manciata di minuti e si inizia. La gente sta arrivando. Sto guardando sul display la sequenza della tandas che ho scelto per questa serata. Ore e ore di pre-ascolto, in auto, in bici su e giù per le colline dietro casa. È da due settimane che ci lavoro sopra. Ho molti dubbi. C’è sempre qualche brano che non funziona, che non lega con gli altri, poco ballabile, troppo lungo. Alla prova auricolari, l’idea che ho in testa, viene spesso smontata senza appello o ripensamento.

Trovare la giusta alternanza fra tangos, valses e milongas, fra registrazioni di epoche passate e recenti, è difficilissimo…, beccare il mix adatto è più arduo che vincere un terno al lotto. Senza contare che mettere gli stessi brani noti e arcinoti non se ne può più. Lo potrebbe fare chiunque. Ci sono migliaia di brani per nulla o poco conosciuti che andrebbero sentiti uno ad uno, valutati, scartati, schedati. Un lavoro immane con tempi infiniti. Quando mi ci metto, per un’ora, due al massimo, di più non riesco, è come trovare un ago nel pagliaio: un nuovo vecchio tango da infilare in una tanda è una pepita, vale oro.

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Sono in novanta che ballano davanti a me, non tutti assieme, anche se quelli seduti che aspettano la prossima tanda non sono molti. Qualche tempo fa, ho anche messo musica per solo sedici  persone, forse capitate in quel posto per caso. Di più non ne sono arrivati. Milonga da taglio delle vene.

Questa sera non ballerò, non voglio correre il rischio che qualcosa si inceppi mentre sono lontano dalla consolle. Non ballerei rilassato e non me la godrei. E inoltre la sequenza che mi sono immaginato e che alla fine ho predisposto è di fatto una linea guida di massima, che nel corso della serata può essere modificata, integrata, sostituita. La tecnologia viene incontro ma esasperare gli automatismi non funziona. Tutto può accadere e bisogna essere preparati e pronti a cambiare, inserire, togliere, alzare o abbassare.

La leggenda del bravo musicalizador

Mi diverte sempre sentire quelli che discernono sul fatto che il vero musicalizador di tango non si prepara in anticipo la playlist della milonga, ma ha le capacità di mettere musica all’impronto, sul momento, a seconda della serata, del posto, del tipo di persone presenti, della cosiddetta energia, atmosfera, ecc. Tutte balle. (Perdonali non sanno quel che dicono).

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Gli occhiali dell’odalisca

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Il carpintero e l’odalisca. 31 – Solo andata – A ripetizione – Tango rottura – Un paio di occhiali – In buona compagnia – L’acqua calda – Fra Recoleta e Palermo – Vita vissuta.

Non lo so.
Devi sempre sapere più di me!

Solo andata

– Come state?
– Sto bene. Io.
– E Amedeo…?
– Se n’è andato.
– Dove?
– Quien sabe…
– Quando torna?
– Non tornerà.
– E la casa bianca? Bernal?
– Per ora è rimasta sola… diciamo orfana. Bernal farà a meno di lui, come è sempre stato.
– Tu tornerai? Rivedrò almeno te?
– Forse… poco probabile. Se sarà, sarà per poco. È presto per dirlo. Dimmi di te. Come mai ti sei fatto vivo? Scommetto che ci sono novità? Que pasa?

– Volevo sentirti… gli amici ogni tanto si sentono.
– Non è da te carpintero, tu non sei un amico come gli altri.
– Ho sognato, ho fatto dei sogni.
– È normale, capita anche a me. A chiunque capita.
– Questa volta è stato diverso. Qualcosa stava per succedere. Non qui. È successo da voi, me lo hai appena confermato.
– I sogni non macinano, sono come l’acqua che corre via. Le coincidenze sono all’ordine del giorno. La loro frequenza è più alta di quanto non si pensi. Sono ricorrenti come i vincitori settimanali alle estrazioni.

– Il tuo populismo è senza antidoto. Quando ti ci metti… non c’è scampo… per nessuno.
– Ti conosco abbastanza e più il tempo passa, maggiore è la certezza che il tuo essere prevedibile prenda il sopravvento su tutto il resto. Tu chiami quando hai qualcosa da raccontare… da chiedere… da confidare…, da supplicare…, scemenze sentimentali, tiri di testa, incubi o semplicemente indefessa solitudine. O il maledetto lavoro. Niente è per niente.
– È solo un’impressione, mi pare di sentirti vanamente alterato. Ne avrai ben motivo, di certo non può essere la mia chiamata. Non voglio entrarci. Se e quando ne vorrai parlare, ci entrerò.
– Vanamente? Che cavolo stai…?
– Nel senso di inutilmente. Novantanove su cento, darsi pena per qualunque cosa o chiunque è inutile. Vano, per l’appunto.

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A ripetizione

– Andiamo oltre. Di che cosa si tratta questa volta? Le mie orecchie sono pulite e ben orientate. Il mio tempo è a disposizione, per te potrei mettermi in sciopero da tutto e da tutti. Parla! Per l’amor del cielo, non farti desiderare come è tuo solito, sai che non lo sopporto.
– Se è così che la metti, ti accontento subito. Avevo in mente di raccontarti per prima cosa di un paio di occhiali, poi di una (gran) serata al verde, di una febbre a trentotto e di alcune donne.
– Vedi… avevo ragione.
– Invece hai torto. Ti sto solo venendo incontro, mi conviene, non hai l’umore giusto per essere contraddetto. Sto inventando di sana pianta. Improvviso. Mi succede anche quando ho davanti una sedia sfasciata o un mobile sfondato e non so da dove cominciare. Le alternative sono: mettersi le mani nei capelli o tentare qualcosa… improvvisare appunto. Così faccio, così sto facendo.

– Occhiali…? Donne… ancora donne? Una serata… di tango, suppongo? Chi era con la febbre?
– Io, me.
– Non ne hai abbastanza di queste occasioni dove ogni gesto, ogni comportamento, può allo stesso tempo, deliziarti o riempirti del tedio più stucchevole?
– Avevo pagato in anticipo, non potevo tirarmi indietro, avrei perso dei soldi.
– I soldi sono tutto… certo, ma pochi soldi sono niente.
– Pensa per te.

E se il momento fosse quello giusto? Nel senso di dilatare…, rallentare…, evitare…? Caro amico falegname hai mai pensato alla monotonia ripetitiva, all’inconscia compulsione, dei tuoi gesti, delle cose che fai?
– Certo che ci ho pensato. E non vi ho trovato nulla di sbagliato.
– Per assurdo potresti morire ora senza provare rimpianti. Quello che c’era da fare lo hai fatto. Non fai che rifare. Sei un rifacimento.
– Dove vuoi andare a parare? Se qualcuno ci sentisse adesso, proverebbe compassione!
– Non agitarti, ti sto provocando, non te ne sei accorto? Quando ci siamo conosciuti sembravi più sveglio, mas rapido. Voglio dire…, replicare all’infinito le stesse cose, simulando disinvoltura e noncuranza, ti può ancora bastare? L’insoddisfazione ti avrà sfiorato immagino?
– Come per tutti, ogni giorno. E allora? È la norma. Assolutamente nella norma.

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L’armadio dell’odalisca

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Il carpintero e l’odalisca. 30 – Uno pseudo viaggio – Un mucchio di donne – Uno pseudo incontro – L’armadio immaginato dell’Odalisca – Il tango è donna – Piacere fisico.

Posso…?
Non farmi niente…!

Uno pseudo viaggio

– Ho intenzione di andare.
– Quando?
– Al massimo entro due tre settimane. Se vuoi venire devi decidere in fretta.
Lo sguardo di Amedeo era determinato, allucinato, pericoloso. Gli capita di rado e quando succede non c’è verso che torni sui suoi passi. Il suo cervello ingombro e affastellato ha già deciso. Amedeo è schiavo del suo cervello. La sua mente decide senza ascoltare le altre parti del corpo a cui non resta che eseguire rassegnate e controvoglia. È sempre stato così: un cervello troppo potente in un corpo troppo debole.

Alla fine, dopo pochi minuti di ricognizione su presente e futuro, anche il possibile secondo viaggio dello scorso anno non si è fatto. Allo stesso modo del primo fra gennaio e febbraio, è rimasto un tentativo di… viaggio, un simulacro di una realtà che si è esaurita. La mezza proposta di andarsene in quell’insolito periodo – primavera a Baires – non ha avuto seguito. Non c’erano i presupposti. Amen.

Amedeo imperturbabile ha trovato la mattinata giusta. Quel giorno il sito Iberia dava ai fortunati che si collegavano una chance imperdibile: poco più, poco meno, di settecentocinquanta euro. Presa al volo… è proprio il caso di dirlo.
Andata e ritorno, Ida y vuelta, un mese meno un giorno, più di quanto servisse, ma andava benissimo come scusa per starsene lontano, lontani, dove il mondo non è uguale, la vita è diversa e l’aria è sempre in movimento…, pur non essendo migliore: Baires… ovviamente, sempre lei la meta, il sogno ricorrente, il posto dove stare senza pensieri, senza pensare. Almeno per chi arriva dall’altra parte del mare.

Lui assieme al suo fastidioso carattere sarebbe partito… Marco Polo, Barajas, Ezeiza, Bernal. Io sarei andato con lui…
A parole, con la testa, solo con quella senza il resto, immaginando giorno dopo giorno, per un mese meno un giorno, di fare quello che avrei fatto se avessi volato sul serio, sopra quello specchio di colore simil ocra, il colore del leon, che si vede guardando sotto, dopo aver sorvolato l’Uruguay: il Rio, il grande Rio così simbolico, così presente, così contaminato e orrendamente umiliato durante gli anni della follia civile.

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A tu per tu con l’odalisca

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Il carpintero e l’odalisca. 29 – Viaggio in Italia – Marco Polo – A tu per tu – Una mirada ossessiva – Di larghe vedute.

Addormentato… sul divano…
Ora tisana “benedettina”…. un po’ di miele e tanto limone…

Viaggio in Italia

Baires non è dimenticabile. Non si può dimenticare. Quest’anno niente viaggio, nessuno scalo a Barajas.
Ezeiza la porta dal cielo di Baires resterà lontana, irraggiungibile. Meglio non pensare a Baires… inutile e controproducente, ti mette in una condizione di pseudo astinenza facendo sembrare precari e stentati i momenti del giorno e della notte.

Di rado sento Giordano, il mio amico falegname di Bernal. Stranamente si è fatto prendere dal lavoro che, a suo dire, ha cominciato ad amare: – in mancanza di altro si può amare anche il proprio lavoro – così, mi ha rivelato con inconsueto disincanto, l’ultima volta che ci siamo sentiti. Una specie di seduzione posticcia, generata più dal bisogno che dal piacere.

Stento a credere, non gli credo, lo conosco, non sarebbe capace di tanto. Ha  conosciuto una persona, una donna… ecco il vero motivo, altro che lavoro. So poche cose di questa lei. È stato parco nel raccontarmi…, non è da lui: – è successo senza cercare, per pura combinazione -.
Ha annacquato la sua dedizione al tango. È evidente che questa persona non è una milonguera… altrimenti… così non sarebbe.

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Gli ho scritto alcune volte. Rare le risposte e sempre a scusarsi per non aver dato attenzione alle precedenti. Ho perso un amico, questo penso. La distanza non si riempie con le emails, gli sms, Viber, ecc. La lontananza è come il tempo: prima o poi le abitudini prevalgono, i contorni si sfaldano, restano solamente i colori mescolati fra loro, a rendere sfumata e indistinguibile ogni cosa.

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Un tango vale l’altro

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29.2 – Che fare? – Le orquestas – Il punto non è questo – Un tango… non… vale l’altro.

… Gustare tutto al momento… che c’è di meglio?
Niente che conosca…

Una persona amica mi ha chiesto cosa ne pensassi. Si è rivolta a me – sopravalutando le mie capacità – per avere un consiglio e una traccia alla comprensione ed alla “classificazione” (brutta parola) delle orquestas de tango.

Che fare?

Non ho la più pallida idea di come si faccia. Il mio apprendimento è stato sul campo: poca teoria (pochissimo studio), tanta pratica (tantissimo ascolto). L’idea, che alla fine mi sono fatto si basa su pochi concetti empirici i cui margini sono dilatati e aperti ad ogni genere di infiltrazioni.

Ho scelto le scorciatoie dell’intuito, dell’orecchio e del gusto, arrivando, come chiunque altro può aver fatto, a preferenze personali e quindi opinabili. Di conseguenza l’attendibilità è posta in secondo piano, sostituita da scelte e opinioni del tutto individuali.

La musicologia…? Quella legata al tango… Di che si tratta? Cosa e come rispondere… non saprei. Salvo agli addetti, non credo interessi a molti, giusto o sbagliato che sia.

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Mezzo appuntamento

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Il carpintero e l’odalisca. 28 – Cadavre exquis – Nostalgia porteña – Niente odalische – Trieste come Baires – Dubbio, polvere e simbolismo – Due amiche da lontano – Dentro la ex pescheria – Pietre, lacrime e relitti – La sosia dell’odalisca.

Non ho segreti… in cucina…
Empanadas o strudel salato: tre gusti distinti: uno meglio dell’altro….

Cadavre exquis

– Sei connesso?
– Sai che ora è?
– Le otto… di mattina… sabato. Sono al secondo tazzone di caffè.
– Imbecille qui sono le quattro, fa ancora buio, perché mi hai svegliato?
– Non lo so. Se vuoi ci sentiamo più tardi…
– Oramai sono in piedi… faccio pipì, aspetta… Allora que pasa?
– La sosia dell’odalisca…? Quella incontrata sul ferry… da Colonia del Sacramento, non dirmi che non ti sei dato da fare per rintracciarla.
– Certo che mi sono dato da fare e naturalmente l’ho beccata. Non è stato difficile.
– Spiega!
– Non ora… Casomai dopo. Mi aveva dato un mezzo appuntamento.
– Un mezzo… cosa?
– Sono parole sue. Anche io me lo sono chiesto.
– Perché non chiedere a lei?
– Troppo semplice.
– Mezzo nel senso che anziché durare quanto necessario si sarebbe interrotto sul più bello? Oppure che vi sareste visti a metà strada fra Quilmes e La Plata? O ancora… che non vi sareste visti per niente perché avreste fatto solo un tratto di strada: tu da una parte, lei dall’altra? Oppure che avreste parlato senza cenare, o cenato senza parlare… in silenzio… come due Sadhu?
– Smettila! Le ho proposto di giocare ai “cadaveri eccellenti”. Anziché carta e matita…, Whatsapp.
– Ha accettato?
– Si è divertita… lo vuole rifare…
– Quando…? Al prossimo mezzo-appuntamento? Fammi vedere sono curioso.

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– Non è necessario capire tutto… vieni a trovarmi?
– Verrò senza capire…
– Non venire! Finalmente ho dormito bene. Di notte vorrei… dormire. Ero distrutta, giornata lunga, non sono abituata…
– Ti ho trovata… avresti mai detto…?
– Ero a pranzo, un inizio di mal di testa… non voglio ammalarmi.
– Copriti…
– Allora vuoi venire da me… si o no?
– Non è proprio il caso…
– Sono rientrata sana e salva. Anche stavolta i lupi non mi hanno presa. Potrei civettare… ma con chi… Certi uomini sono polipi… perdono il loro tempo, sono diventata insensibile: a tutto!
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Tandas y Mujeres

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29.1 – A discrezione del musicalizador – tre tangos – zero desiderio – ostinatamente ottuso – socializzare e prendere fiato – mancanza di tempo – sei donne in più – catechismo tanguero.

Due parole.
Anche io…

Durante una serata, le tandas vengono ripetute sequenzialmente seguendo una logica che si basa sulla tradizione, sugli umori e preferenze del musicalizador, sul range di persone presenti e sul momento ritenuto più adatto per certi brani piuttosto che per altri.

L’alternanza fra i tre generi classici che si ballano: tangos, vals, e milongas è sempre a discrezione del musicalizador che salvo eccezioni si rifà scolasticamente alla tradizione.

In realtà ci sarebbe un quarto genere che comprende i “tangos nuevos o non tangos”: una galassia di contaminazioni incrociate fatta di brani che piacciono ad un numero sempre crescente di persone e che spesso vengono messi per accontentare i fans che li richiedono, con buona pace dei puristi… (che dio li abbia in gloria).

Nella miriade di regole scritte, non scritte e codici che compongono il catechismo tanguero, tutto ciò che si basa  sulla tradizione ha un ruolo preponderante. Uscire dai dettami classici è sempre un azzardo. E la tradizione dice che le serie di brani devono essere composte da 4 tangos, 3 vals, 3 milongas.
Inutile indagare su questi numeri… a che pro?

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Il tre – per definizione numero perfetto per eccellenza – si adatta perfettamente: ballare tre vals o tre milongas è sempre un piacere, libero da tensioni o preoccupazioni.

Quattro tangos…? Perché non tre tangos…?

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La nouvelle odalisque

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Il carpintero e l’odalisca. 27 – Ballare tango a Montevideo – in cerca della Cruz del Sur – riprendere la via del ritorno – questo odioso pallino verde – sembri alquanto fatalista – olio di mandorle – due cioccolatini italiani con la nocciola – fa acqua da tutte le parti.

Se qualcuno mi obbligasse a fare qualcosa… mi verrebbe di fare il contrario…
Non un obbligo… un gioco delle parti…, è divertente.

Mail in entrata

Come state…? Innanzitutto una cosa: la data del vostro arrivo. Rispondimi velocemente, così mi organizzo per accogliervi e non prendo impegni per Montevideo… ci andremo assieme. Ballare tango a Montevideo: è quello che faremo.
È una città invitante, l’odore è sempre buono, non si lascia fagocitare dagli estranei. Chi ci viene una volta, non aspetta che di ritornarci.
È bella sia d’estate che d’inverno, sembra che parli e ti dica: domani sera ci vediamo, sarai da queste parti?
Vorrebbe ballare assieme alla sua gente… non può. Resta a guardare. Come… non voler bene ad una simile città?

Sono stato a casa di Amedeo in Avellaneda 125. Ho aperto con il mazzo di chiavi che mi ha lasciato. Ho sistemato tutto quello che c’era nella lista che ho trovato sul tavolo in cucina. Le porte non cigolano più e nemmeno le ventole a soffitto, ho cambiato il vetro crepato nella stanza che dà sul bagno e la lavanderia, ho controllato la cloaca e rifatto lo stucco ai vetri quadrati dove si era screpolato e indurito.

Vi aspetto per gennaio… più o meno quando…? Il biglietto che data porta? Scrivimi… è tanto che non ci sentiamo, ho da raccontarti… L’ho rivista…! Non immagineresti né come, né dove.
Giordano il vostro falegname di fiducia.

Mail in uscita

Caro Giordano… non verremo…
Quest’anno saltiamo. È da un po’ che lo sapevo. Abbiamo atteso nella speranza che qualcosa cambiasse.
Ci dovremo accontentare dei ricordi. Si può tirare avanti anche con quelli. Il presente… il mio adesso… è quantomai incerto, fluido…, i riferimenti vanno e vengono.
L’estate è passata… terribile. L’autunno è grigio: è meglio di quanto avessi supposto. Il nero non minaccia, è di là da venire.
Il tuo amico d’Italia.

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4 Orquestas e una douce femme

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29.0 – Demoliendo Tangos – Sexteto Milonguero – Color Tango – Tango Spleen.

Mi sembra che qualcosina di più… sia accaduta…
Qualcosina
…?

-Ti sono piaciuti…?
Ci troviamo in un posto privilegiato, una specie di soppalco galleria: in alto.
Annachiara (una sola parola con la c minuscola) è inginocchiata sul sedile della poltroncina a fianco alla mia, con i gomiti appoggiati su un muretto che fungendo da parapetto, dà stabilità alla nostra inedita posizione. Il viso è rivolto verso lo schienale a guardare sotto, in platea curiosando chi sta ballando e con chi.
La sala si è da poco vuotata e i nostri occhi sono fissi in direzione del palco più in là, proprio di fronte a noi.

Lei rilassata e apparentemente distaccata, mi guarda con un sorriso lieve, appena abbozzato, gli occhi neri bene aperti, e un’espressione del viso perplessa, incorniciata da rade lentiggini. Per qualche secondo mi fissa gli occhi, le sue labbra naturali senza rossetto restano chiuse. Pur senza dire una parola, mi sta rispondendo. Come me non sa che dire di questa aperture dei Demoliendo Tangos.

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Demoliendo Tangos

“Come il faut”, il brano scelto da questi due giovani esegeti della musica di Buenos Aires, è suonato e interpretato senza melodia. L’arrangiamento, privato dell’anima passionale tipica della terra da cui provengono, è crudo.

Così i porteños definivano, ai tempi della grande crisi Argentina del duemila, una gallina inconsapevole della sorte, che attraversando la strada, l’avrebbe attesa sul marciapiede opposto: non viva, bensì ancora…cruda.

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Tacco 9 (nove)

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28.3 – Le scarpe di una milonguera – passport please… – la vacanza sta finendo – in cerca di Bulnes 1011, niente MacBa – subte – per strada – il negozio – los zapatos – en efectivo.

A volte la perseveranza paga…
Non paga…!

Terzo viaggio.

Inizio 2013. Prima di partire.
– Sul serio vai a Buenos Aires?
– Si, non vedo l’ora… fra una ventina di giorni.
– Mi faresti un favore…? Se ti do i soldi mi compreresti un paio di scarpe…?

Le scarpe di una milonguera

La conosco appena, ogni tanto una tanda, qualche tango all’illegal, poco altro. Da non molto ho imparato il suo nome, nel senso che d’ora in poi me lo dovrei ricordare: spero di non sopravvalutarmi. In genere il nome di una persona, di una donna è presto dimenticato: mi entra da un orecchio e mi esce dall’altro. Perché mai io chieda i nomi delle persone continua ad essere un mistero. Lo faccio di rado e ogni volta è la stessa cosa: quella parola è rimossa dai miei files non appena è stata pronunciata. È evidente che il mio inconscio non ne vuole sapere dei nomi altrui, anche perché spesso chi è di fronte non riesce a celare una breve titubanza nel presentarsi, neanche dovesse rivelare la propria età, o altro ancora più legato alla propria privatezza.

D’istinto vorrei risponderle di no. Non mi sento portato per questi favori. Tento goffamente di distoglierla da questo suo desiderio:
– scusa come faccio…, non ho il numero, il modello, il colore…, non saprei dove andare a cercare, Baires è immensa…
Arrampicarmi sugli specchi non è la mia specialità. So che non ne sono capace… ci provo comunque, sempre con pessimi risultati… alla fine capitolo!

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– Non preoccuparti assieme ai soldi ti fornisco io tutte le indicazioni che ti serviranno. Tu non dovrai fare altro che andare all’indirizzo che ti darò, entrare nel negozio ordinare e pagare. Credi ti possano bastare cento euro…? Guarda facciamo così… te li do adesso, tieni…, le altre indicazioni te le faccio avere via email. Grazie, sei molto gentile, sono molto contenta che tu abbia acconsentito a farmi questa cortesia… sai sono le mie scarpe preferite, amo ballare solo con queste, ne ho già consumato due paia e la sola idea di non averne uno di riserva mi fa stare male. Ancora grazie… di cuore.

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Il sarto e la telegrafista

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Il carpintero e l’odalisca. 26 – La vetrina – il vestito – mezzi uomini – sarto, intellettuale, gentiluomo – a letto con una sconosciuta – i gangsters – milongueras – la telegrafista – le altre – non sono parole – nessuna guerra per Troia.

… non sono di pietra.
Forse amianto…?

La vetrina

Ogni giorno ci passiamo davanti. La stessa vetrina, tre quadras da casa. A dire il vero non sempre. La combinazione del nostro tragitto a piedi fino in centro non è mai identica. Cambiamo in maniera automatica, autistica: ci facciamo guidare dall’istinto inconscio che si sostituisce temporaneamente alla ragione. La nostra meta è sempre la stessa: la caffetteria gelateria di Bastiano, dove ci sentiamo accolti e benvenuti: una specie di seconda casa – esente da Imu.

– Venite dall’Italia?
– Siamo italiani…
– Mi dovete scusare, sentire parlare italiano senza la nostra cadenza mi emoziona sempre… Vorrei presentarmi… Vincenzo… Vi ho visto spesso qui da Bastiano…

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L’abitudine e la familiarità con i luoghi di questo barrio mi spingono a credere che il laboratorio del sarto sia un check-point quotidiano obbligato, anche se così non è. All’interno la luce è tenue. Da fuori attraverso l’ampia vetrata, nonostante un fastidioso riflesso, si intravede la stanza d’ingresso: spaziosa, ordinata, vissuta, calda… Le pareti e le tappezzerie, con sfumature diverse, tendono ad un colore che chiamano carta da zucchero. Ignoro l’origine di questa definizione.

Il vestito

In mostra un vestito da uomo di fattura sartoriale, tagliato e cucito con dovizia e maestria artigianale. Le mostrine della giacca non sono larghe, non sono strette. Le tasche ai lati sono prive di patelle: non servono. È a due bottoni, andrebbe bene anche uno oppure tre, non di più: il numero di bottoni non conta…, conta la mano che ha usato prima il gesso bianco sulla stoffa, poi le forbici.

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Due occhi chiari

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28.2 – Un modo dissimile – gente per bene – melodia e ritmo – cadono e volano – voce antica – un oceano di pelo nero – provvidenziale dissetata – a passo d’uomo – tre taglie più piccola – senza alcuna convinzione.

Mi ricorderò ogni attimo per un bel po’… credo…
Meglio dimenticare…

Terzo viaggio.

Febbraio 2013. L’estate, quella di Baires è un’altra cosa. Esattamente non saprei… cosa. So che l’aria è diversa, altri colori, sarà la cadenza del tempo, forse le ore durano più a lungo. Anche le persone si muovono in un modo dissimile… dal nostro. Più resto da queste parti e più a lungo ci resterei.

Bernal, il mio barrio, dove soggiorno quando mi trovo a Baires, è un posto tranquillo, il Rio è a qualche chilometro e la gente che vi abita e che ho avuto modo di conoscere è sempre cordiale e premurosa. Da noi si direbbe: gente per bene.

Lo status di turista che mi porto dietro come marchio indelebile, mi rende accettabile ben oltre le aspettative. Qui sono io ad essere esotico e come tale dò agli altri senza alcuno sforzo, il motivo di tante attenzioni nei miei riguardi.

Capplegnami_Baires_Bernal_Studio

Ogni mattina mezz’ora di running: trentotto quadras. Non è tanto: è abbastanza. Non sono mai le stesse, variare il percorso senza uscire dal mio territorio è semplice. Da noi non sarebbe possibile per via di un diverso approccio al concetto di urbanistica. Fa già caldo e si suda parecchio.

Uso lo shuffle di prima generazione: solo tangos e qualche valsencitos. Niente milongas né candombe, il loro compas non si adatta alla frequenza delle mie falcate. Ho scelto con cura i brani: melodia e ritmo, devono esserci entrambi, altrimenti sono scartati. Correre è come ballare. Senza melodia si balla male, idem senza ritmo. La prima accresce la passionalità. Il secondo aiuta a tenere il tempo. I musicalizadores che non prestano attenzione a questa regola elementare sono idioti.

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El puente viejo

Capplegnami_Baires_PuenteViejo

28.1 – A precipizio sul water – calma placida – frenesia iconoclasta – perdere l’equilibrio – una parvenza di valore – geometrie arancioni – senza alcun rimpianto – come un barbagianni – avanzi di un asado – uno spazio grande quanto un fazzoletto.

Che fai di bello?
Never more… (E.A. Poe) – Nunca mas… (per gli argentini) –
Mai più…!

Terzo viaggio.

I mesi sono volati via. Di corsa: fra tango, donne e dolori…
Ma… tornando ad un venerdì dello scorso febbraio: …il caldo dell’estate australe è avvolgente, non lascia scampo, la brezza costante mitiga appena il senso di soffocamento, sono le due del pomeriggio, i piatti sono lavati, la pancia è piena e le tazze grandi, colme di caffè bollente sono pronte.

Aspetto… non arrischio, non voglio scottarmi le labbra, guardo Amedeo che come al solito a quest’ora ripassa per la seconda volta (la prima è di mattina presto, appena sveglio, la terza è di notte a qualsiasi ora, prima di andare a letto) il suo quotidiano on line preferito sul nuovo iPad mini, che funziona benissimo nonostante il suo scetticismo iniziale dovuto alle sue grosse dita, sproporzionate rispetto alle dimensioni ridotte del display.

Capplegnami_Baires_Inmobiliaria

Ora invece ci si è affezionato a tal punto che in casa non lo molla mai, nemmeno per fare pipì: lo appoggia sullo sciacquone in equilibrio instabile a precipizio sul water. Fino ad ora gli è andata dritta.

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Il ritorno dell’odalisca

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Il carpintero e l’odalisca. 25 – Di palo in frasca – non ho parole… – casalinga o impegnata – sia il tanto che il meglio…! – strofinare – ricordare riporta indietro – il tango, non ti lascia scegliere – invito questa, saprà ballare? – una brutta piega – insieme per pigrizia – la forza di chiudere – sperava e desiderava altro… 

Pensavo fosse in via di esaurimento…
Chi dice che non lo sia…, anche no… forse, non so… no, non voglio.

Mail n. 2
Per i miei due amici tanos che non conoscono l’autunno di Baires: la stagione più bella sulle sponde del Rio. Se leggendo non capirete, sforzatevi. Se lo sforzo non basterà, fingete. L’odalisca parla, detta e si fa scrivere, o viceversa, perché immaginare non è il vero e non corrisponde.
Giordano, di mestiere carpintero.
Besos…

Primo dialogo immaginario… Training fatto in casa.

– Hola, ci sei?
– Si, non dovrei. L’ultima volta era ieri, Baires è larga, unisce e divide.
– Tu pensi cose strane di me…
– Di te…? Non penso nessuna cosa strana, come potrei…
– Parliamo come due ubriachi: saltiamo di palo in frasca…
– Accorciamo le distanze, è normale e molto pratico. Non sto esagerando. Se dò questa impressione, taglia a metà: resta comunque tanto.

– Continuo a non capire, mi disorienti… ho paura di non farcela…
– Un training fatto in casa: tralasciare sentimenti impossibili e puntare su piccoli dettagli di fisicità. Non è facile serve allenamento: duro, doloroso e costante. Non dico che basti, aiuta a tirare avanti. Un rimedio temporaneo che diventa permanente. Persistente, una regola, un’abitudine.

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– Parlami ancora…
– Puoi andare oltre. Ovunque tu sia, sola o in mezzo ad altri, puoi stenderti o sederti comoda, chiudere gli occhi e smettere di pensare – non è facile ma col tempo viene. Vuota completamente sia la testa, che il corpo. Rimuovi ogni traccia di energia elettrica.
– Poi…
– Spegni tutto, chiudi le orecchie, non sentire rumori, non concentrarti…, su alcunché o chicchessia, rilassati, rilassati, dimenticati… udirai solo il battito del tuo cuore… abbandona anche quello, nemmeno il tuo respiro devi sentire. Lascia che il tempo scorra… inutilmente: è importante. Solo così il tuo organismo si potrà rigenerare e tu con esso. Dopo starei bene, meglio…, e avrai di nuovo forza, volontà e voglia. I pensieri ti scivoleranno via… perché smetteranno di essere pensieri…

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L’odalisca immaginaria

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Il carpintero e l’odalisca. 24 – Un pensiero lancinante – Sto bene dove sono – Nessun potere magico – Carnevale a Quilmes – Liberatorio, finalmente vero – Sia quel che sia – Uno spreco inutile – Mi licenzi? – Ore di ginnastica e pazienza.

Non ho osato…, sarebbe stato imbarazzante…
C’è una situazione che devo risolvere…

– Siete arrivati…? Tutto bene…? Il viaggio, l’aereo…? Adesso passerà un anno prima di rivedervi.
– Ciao Giordano…, tu come stai? C’è Viber… Skype…
– Odio queste applicazioni, generano solamente illusioni. Ti fanno credere quello che non è. Come adesso, parliamo, ci guardiamo come fossimo uno di fronte all’altro e invece siamo distanti, lontani, in due continenti. Non posso capire se stai sudando, non posso vedere se hai macchie sulla camicia, non possiamo mangiare assieme un gelato, non possiamo nulla: un imbroglio.

– Caro amico carpintero, mi stai preoccupando, non ti avevo mai sentito così giù. È successo qualcosa…? Scommetto che di mezzo c’è l’odalisca…? Sempre lei… Ho ragione vero? Questo tuo perenne stato febbrile, adesso comincio a comprendere. Da quando, qualche giorno prima della nostra partenza, ce l’hai fatta vedere, indicandocela quella notte mentre ballava con un fotografo all’Indipendencia, tutto torna: il tuo malessere costante, il tuo bisogno di rivederla pur non potendo, l’impossibilità di parlarle a lungo, per più di quei pochi minuti che ti ha sempre concesso quando l’hai incontrata per caso. Non ti invidio, è un supplizio, uno strazio senza fine. Ora a posteriori avrei preferito non fosse successo, che non ce l’avessi fatta incontrare. Il pensiero di lei è lancinante. Ho ragione…?

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– Non ti allargare…
– Non mi allargo, cercavo di mettermi nei tuoi panni…
– Mi avete rotto per due anni di seguito: mi avete deriso, offeso, insultato. Ne ero certo: se tu e Amedeo l’aveste vista vi sareste ridotti a larve, incapaci di avere qualsiasi reazione, come di fatto è avvenuto.
– Stai debordando, per molti versi è una donna affascinante. Non si discute, ma da qui a perdere la testa per lei… ce ne vuole di strada…
– Parli così perché la tua debolezza ti sovrasta, ora sei nel tuo paese, lontano migliaia di miglia da me e da lei, non la puoi vedere, non la puoi rincontrare, sei tagliato fuori, ti devi per forza rassegnare.
– Carpintero io non sono come te, la mia vita continua, e poi fra una dozzina di mesi… tutto può succedere.

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I libri di Baires

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28.0 – illeggibili e belli – ex impiegato di cambio Tahitiano – lingua sconosciuta – la città che vive di sogni – sofisticato traduttore simultaneo – la voce di nonni e genitori – una specie di scappatoia – Palabras dopo palabras.

Ballare con te…? Fra un secolo… anzi due…

Primo, secondo e terzo viaggio.

I libri di Baires sono calamite: non ti staccheresti mai da loro. Sono illeggibili e belli da guardare, come le opere esposte in una galleria d’arte moderna. Non esiste altra arte se non quella a noi contemporanea, inclusa quella che l’ha preceduta, prodotta al massimo da una o due generazioni addietro. Forse tre o quattro. Non più in là dell’ex impiegato di cambio Tahitiano. Quello che c’è stato prima potrebbe, senza alcun patema, scendere velocemente lungo il tubo di un cesso.

Il piacere che offrono questi libri è quello di farsi sfogliare. Le mie mani sono un browser, uno sfogliatore sdoppiato, di pagine scritte in questa lingua sconosciuta, la lingua di Cervantes, sempre alle prese con la vita scalcinata dei suoi eterni eroi e eroine.

Li curvo leggermente senza correre il rischio di lasciare dei segni di piega sulle copertine o rovinare le brossure. Con il pollice a molla faccio scorrere velocemente le pagine, sento in faccia il lieve spostamento d’aria da esse prodotto e l’odore stantio di carta e inchiostro che ne fuoriesce. Anche queste sono buone arie. Arie sane. Poi con calma, dove ci sono, le immagini, le figure: sono esse che mi attraggono, come un analfabeta, in tutto e per tutto. Qualche didascalia qua e là, qualche nota, il retro di copertina, ed il libro è presto letto. Tempo di lettura: cinque minuti a libro.

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Una lingua usata da milioni di persone: incomprensibile questo castellano, come chiamano lo spagnolo qui a Baires, la città che vive di sogni. Come faranno a capirsi…fra di loro…? Un mistero. Usarlo quotidianamente, per le piccole cose, ordinarie, senza importanza: ha dell’incredibile. I parlatori di questo castellano pur non capendosi, nel senso letterale del termine – come potrebbero…? – riescono senza sforzi apparenti, a intendersi, a interagire e ciò che è più sorprendente: a socializzare, aiutati per i concetti base, quelli generici e generali, dall’espressione degli occhi, del naso, della bocca, delle sopracciglia, della fronte.

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Schegge e trucioli di odalisca

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Il carpintero e l’odalisca. 23 – una fetta di sandia – nulla da dire – abemus palabras – relazione apparentemente impossibile – che cos’è magia? – wireless cerebrale – l’emblema dell’incertezza – l’ossessione per il tango – un nuovo paio di scarpe – immobile come un bradipo – una nuova apparenza – ballare con la luna.

Avevi la mente occupata…? Da cosa…?
La mia mente è sempre in funzione, penso a tante cose…

– Hola…
– Due trilli e hai risposto…? Que pasa?
– Avevo il cellulare in mano, lo stavo connettendo a la computadora per salvare un numero che non voglio perdere, come mi è successo giorni fa.
– Domani io e Amedeo vorremmo andare a norte verso Tigre, sul delta e se capita un giro in barca lungo i canali. Vieni con noi?
– No.
– Non insisto, la tua voce è quella che hai quando hai già deciso. Inutile tentare di convincerti.

Anguria o sandia

– Ho comperato un’anguria bella grande da un mayorista al mercato, se non sarete cotti di sole, ci possiamo vedere la sera al vostro ritorno. Vi aspetto per mangiarla assieme. Così mi racconterete della giornata.
– Verremo senz’altro, Amedeo sbava per una fetta di sandia e io anche. Quel numero che stavi salvando… dell’odalisca?

– Ci vediamo domani sera, ah mi raccomando, non dimenticatevi la crema e un cappello a falde larghe, voi turisti italiani siete così delicati…
– Grazie per i consigli, a stasera per la sandia e per l’odalisca, affina la mente, dovrai ricordare e raccontarci.
– Vattene, ciao…!

Capplegnami_Baires_Milongueros_

– Allora vi piace…? Com’è… dolce…? Da quando vi ho messo la fetta davanti, non avete aperto bocca.
– Si è buona.
– E tu Amedeo…
– Si è dolce.
– Ve ne taglio un’altra a testa, non vorrei vedervi con la bava alla bocca per essere rimasti ancora con la gola di sandia.

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Giovani milongueros a San Telmo

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27.2 – Un cane al guinzaglio – non conosco nessuno – non è tecnica è naturalezza – un cappello rovesciato in mano – l’assenza: di sentimento – il tango è fra due persone – in piedi per tutto il tragitto.

Non voglio trattenerti… è tardi…
Uff… adesso mi preparo…

Terzo viaggio.

– Aspetta… hanno rimesso la musica: tango. Forse riprendono a ballare…
– No, io vado, sono stanco, ho fame di gelato, voglio arrivare a Bernal e farmi una coppa da Bastiano.
– Amedeo sei come i bambini.
– Cioè… come sarebbero…?
– A tua immagine…, impazienti e fragili…

– È tutto il giorno che ti seguo come un cane al guinzaglio, in lungo e in largo per Baires, prima in quel cavolo di posto a Dulmes per le scarpe, poi al museo…
– Al museo ci sei voluto andare tu.
– Che centra faccio per dire che ci siamo stati, e che non ci siamo fermati un attimo, adesso a San Telmo… Avrò diritto di tornarmene a casa… o no?!
– Bueno… fai quello che vuoi…

– Non te la prendere, io adesso vado. Appena arrivo, mi metto tranquillo, di fuori su un tavolino. Da Bastiano c’è il wifi, con Viber chiamo la morosa prima che vada a letto, ci parlo… dieci minuti…
– Vorrai dire mezz’ora… se basta.
– Che differenza fa, ti aspetto lì, non tardare, ricordati che alle otto hai la lezione al circulo.
– Si papà… a dopo allora. Ah lasciami delle monete, se la tessera della Sube la tieni tu ho bisogno di spiccioli per l’autobus.
– Domani andiamo al Correo Central e facciamo un’altra tessera.
– Intanto dammi qualche moneta, per domani ci penseremo.

Capplegnami_Baires_Milongueros

Sono solo, non conosco nessuno, conosco solo lei la mia adorata plaza Dorrego. Il tango che sto sentendo è La Cumparsita, una versione nota. Ho un blocco, non riesco a collegarla all’orquesta che la sta suonando. Non importa, anche con questo impianto fai da te a batterie, low-fi che di più non si può, è bellissima.

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I vinili di San Telmo

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27.1 – Cruz del sur – ballarci sopra impossibile – ho trattato senza esagerare – esecutori testamentari – i mosaici di Pompei e Aquileia – mi sa che adesso ce li vuole vendere – hanno rimesso la musica: tango.

Chissà quando potrò di nuovo ballare con te… Fra un secolo?
Vedrai che non passerà un secolo…

Terzo viaggio.

Primo pomeriggio di un giorno feriale, siamo a San Telmo, di passaggio. Insolita occasione per venire da queste parti: l’abitudine comanda le nostre scelte. Ci sarebbe tanto da vedere che non ho ancora visto, Baires è a perdita d’occhio, eppure…

San Telmo, il più antico barrio di Baires è la Cruz del sur di questa terza permanenza sulle sponde, non lontane del Rio.

Nella piazzetta fra i tavolini di turisti distratti e sfiniti, due tratti di linoleum stesi sulle mattonelle. Non aderiscono perfettamente al pavimento, sono pieni di buchi e squarci, sembrano quadri di Fontana buttati per i troppi tagli. Sono ondulati ed i segni delle pieghe sono dappertutto.

Capplegnami_Baires_Dorrego_

Ballarci sopra impossibile. Qualsiasi tanguero di casa nostra inorridirebbe rifiutando ogni tentativo, fosse anche per provare un solo passo. Invece questo è il chiaro segno, che per la gioia e la curiosità dei passanti e dei fanatici di tango, i giovani milongueros vengono in questa piazzetta a esibirsi non solo di domenica: è sufficiente un po’ di suerte per indovinare l’ora ed il giorno giusti.

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Chi è il carpintero?

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Il carpintero e l’odalisca. 22 – Il sogno – pensando all’odalisca – il cellulare fantasma – la lettera mai scritta – i tre fondamenti.

Un numero al giorno… prima o poi ce la dovrei fare….
Me l’hai mai chiesto…?

– Sei al lavoro…?! Laboratorio aperto, in funzione… che è successo? Non avrei dato un peso per trovarti qui…
– Sto uscendo… se ti va ci beviamo un caffè veloce… poi vado.
– Cabrales o Segafredo?
– Non ho molto tempo… todo bien?
– Dove devi andare?

– Un lavoretto da poco, qui vicino, non più di due ore… ho promesso, è la terza volta che gli dò buca.
– È una tua specialità, lo sanno tutti… Allora… Cabrales?
– Però non te lo servono assieme al bicchiere di spremuta…
– Vada per il Segafredo argentino da Bastiano, è migliore di quello italiano, facciamoci una quadra in più, anche i suoi dolcetti sono speciali.

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Il sogno

– Stanotte ho sognato.
– Di solito che fai…? Vegli…? Me lo dici stupito, come uno che si è appena fatto un viaggio da un emisfero all’altro. Per una settimana: la notte è giorno e il giorno è sempre.
– No. Dormo senza sognare, o meglio… sogno senza ricordare.

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Le librerie di Baires

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27.0 – La curiosità prima di tutto – una specie di attrazione, una giostra – profonda superficialità – un mucchio di parole ferme – trovare un libro è impossibile – capanne di legno stracolme – il prezzo apparentemente non è fisso.

Nello stesso identico modo di un mese fa… in più solo dettagli…
A
ltri modi di vedere e di gestire le relazioni… mi stendo un pò…

Primo, secondo e terzo viaggio.

Le librerie di Baires si fanno cercare più del tango. Non è difficile trovarle. Ce n’è sempre una dove meno te l’aspetti. A una o due quadras o dies, non lontano, sulla via per raggiungere la meta, una qualsiasi meta di un giorno qualsiasi.

Camminando con un cono di gelato a dare sollievo alle labbra, la vetrina di uno di questi negozi di carta impone sempre uno stop, mai breve. Guardarci dentro è un’aspettativa. Il riflesso della luce sui vetri è irriverente. Obbliga il corpo a cambiare la sua angolazione, affinché l’ombra che proietta annulli l’effetto del riflesso. Gli occhi si adattano come quelli di un barbagianni.

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Il primo sguardo è spontaneo: tralasciare i libri, la curiosità prima di tutto. Forare i vetri con gli occhi e infilarli fra le fessure di spazio lasciate libere dai volumi esposti.

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I muri di Palermo Alto

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26.2 – I muri di Palermo Alto.

Vado a prepararmi… controvoglia…
Se non mi divertissi… non lo farei…

Terzo viaggio.

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I muri di Palermo Alto cadono. I pezzi vengono messi da parte, in ricordo di chi se li è beccati in testa o di chi ce l’ha fatta a schivarli. “La fortuna è cieca ma quando ci si mette ha una mira infallibile”. Meglio cambiare aria. Camminare a testa alta è sconsigliato – sarebbe comunque una scemenza – il rischio di sbattere e perdere l’equilibrio è scontato.

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Sui campanelli solo numeri, lettere e pulsanti. O sai la combinazione o resti fuori al caldo a sudare con 34 gradi costanti, vittima della società anonima e della memoria andata per sempre. Prima sedotti… poi abbandonati.

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Chi è l’odalisca?

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Il carpintero e l’odalisca. 21 – la conosco appena – tiepida in politica – ape regina – algoritmo della provvidenza – un disco rotto – qualcosa di sotterraneo – feuilleton domenicale – un metro e sessantasei – pudore innato caratteriale – gli occhi che parlano al posto della bocca – fuori strada.

Un abbraccio liberatorio… non condizionato… dal tango.
Ce ne saranno altri… a cominciare dal prossimo.

– Sono tutto orecchi.
– Non so cosa ti sei messo in testa, e non voglio nemmeno immaginare cosa ti aspetti ancora da me. Più di quello che già sai e che ti ho raccontato, non saprei…
– Giordano… mi hai detto che di lei sai tutto… Ricordi…?
– È un modo di dire… nient’altro, la conosco appena.
– Le avrai parlato…no…?

– Si un sacco di volte… beh a dire il vero, pensandoci, non più di una trentina, forse meno. In ogni caso piccole frasi: balliamo…, come stai…, sei stanca…, dove andrai domenica sera…, ecc. Una sfilza di ordinarie cazzate, il minimo indispensabile per non fare scena muta, o non essere scambiati per gente che comunica attraverso onde cerebrali, piuttosto che per bocca.

– Qualcosa di lei ti sarà rimasta: un dettaglio, una mezza verità…? Santo cielo ti sarai fatto una qualche opinione di questa donna: su cosa pensa del mondo, dell’inquinamento, del protocollo di Kioto…
– Kioto… cosa…? Che roba è…?
– Lascia perdere… chi se frega…

– Mi stai agitando… sei ansioso… calmati, se hai pazienza ti dirò quel poco che so. Abbiamo tutto il tempo che vogliamo, stiamo passeggiando nel più bel posto di Baires, cosa si può volere di più dalla vita?
– Forse… lei, l’odalisca… pelotudo che non sei altro.
– Forse, non è detto… non è come entrare in un negozio e comperare quello che ti piace. Per averla bisogna che ti voglia.
– Tu dici…?
– Boh… ora che mi ci fai riflettere, non ne sono sicuro… potrebbe anche non bastare.

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– Saprai se è tiepida in politica, se si considera progressista o conservatrice… o entrambe…? Mi sembrerebbe il minimo anche se le hai parlato solo per frasi di circostanza, convenevoli e cose del genere.
– Più che altro intuizioni, vaghe supposizioni…
– Bueno cosa supponi allora…? Ti dò una mano, ti guido io: il suo atteggiamento com’è?
– È quello di un’ape regina… l’odalisca è tout court un’ape regina.

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La conta degli stecchini

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26.1 – strisce di scotch senza colla – reliquie neanche tanto pagane – tapas y picadas – verde bottiglia e grembiule nero – milonguera di buone speranze – padre succedaneo – pseudo etica – in tasca o per terra.

Di fretta, senza badare a cosa scrivere… fra un’ora comincia una “clase”.
Ho ballato… e… sudato…

Secondo e terzo viaggio.
Domenica. Giorno di sfinimento a San Telmo: solita gran buffe di turisti in cerca di emozioni e recuerdos porteños. Da conservare entrambi il più a lungo possibile.

Amara sorpresa: lo spazio all’angolo sud ovest rivestito di vecchio linoleum, tenuto assieme con strisce di scotch senza colla al porfido della piazza, è vuoto. Un’eccezione ed una sfiga: non poteva capitare che a noi. Niente esibizione di milongueros di strada. Il solo motivo per cui sono qui oggi è saltato.

Quindici giorni fa presso un antiquario in fondo ad una breve galleria a due quadras da Dorrego, avevamo adocchiato un appendi ombrelli english old style in legno di ciliegio e metallo finemente adornato. Amedeo si era convinto per l’acquisto, tuttavia si era riservato una riflessione. Ci siamo ritornati: breve trattativa, sconto minimo, preso. Non per niente glielo avevo indicato io. Non per niente gli è subito piaciuto.

Con il cimelio in mano, avvolto in pagine di vecchi numeri della Nacion, di nuovo in direzione della plaza. Non mi dò pace per il tango che questa domenica è assente da San Telmo.

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Approfittando di un attimo di distrazione di Amedeo, intento ad esaminare vecchie posate Cristofle, come fossero reliquie neanche tanto pagane,  scatto via alle sue spalle. Corro fra le persone, schivandole come birilli, a controllare se i milongueros di strada sono arrivati: nada, ninguno. Mi devo rassegnare.

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I muri di Baires

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26.0 – I muri di Baires.

Ho già ballato.
Quando…?

Terzo viaggio.

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Fermati (a guardare… indietro, avanti… meglio indietro, avanti non c’è nulla… a lato men che meno)

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I muri parlano (hanno smesso di ascoltare, non ne potevano più di spiare…)

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Donna e maschere (o mascara… Chi scegliere…? La prima…? Meglio con maschera o mascara? Dipende…)

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Non voglio imparare

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25.1 – Superfluo minimalista ed essenziale – amorevole e rassicurante – un bellissimo rosso ciliegia – terzo grado – parlare con qualcuno – si mette comoda sulla sedia – non ci sono tanghi cantati – senza di lui che viceversa.

Dovrei ballare…? Non sento nulla… sono diventato sordo.
Ma torni…?

Secondo e terzo viaggio.
Ho cominciato le lezioni di castellano. Niente autobus sono andato a piedi: quaranta minuti, fino alla casa di Iside. Sono arrivato dieci minuti dopo l’orario concordato. Iside mi ha fatto entrare dicendomi che ero già diventato argentino – per via del ritardo. Abbiamo riso entrambi, buon inizio.

La casa di Iside è accogliente. Molto di ciò che vi è contenuto è superfluo. Esattamente l’opposto del mio ideale di casa: minimalista ed essenziale: che non significa spoglia.

Arredare e sistemare gli interni della casa è una delle occupazioni in assoluto più soggettive a cui ci si può dedicare. Le mie impressioni pertanto non hanno alcun peso e non sono un riferimento in quanto valgono solo per me.

Ci siamo accomodati al tavolo nella stanza di ingresso, che è anche la stanza principale. Caffè bollente in termos, due tazze, biscotti, un quaderno nuovo formato protocollo già aperto e una moneta da un peso, in regalo per me, raffigurante il Perito Moreno. Secondo Iside sono molto rare.

Capplegnami_Baires_Bus_Plaza

Iside è molto paziente e gentile. La sua voce è chiara e non strascicata, il suo tono amorevole e rassicurante. È bionda, ben acconciata, con grandi occhi, belli e vispi, dietro una montatura in metallo dorato, stile Miami Florida con gli angoli alti a punta e sfuggenti quasi a raggiungere le sottili orecchie. Le mani sono lunghe e affusolate con le unghie dipinte di fresco di un bellissimo rosso ciliegia. Dimostra molto meno dei suoi settantaquattro anni.

 

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Un anno dopo

Cerrado

Cerrado

Il carpintero e l’odalisca. 20 – chiuso, cerrado – mi ha visto da dentro – non succede ogni sera… – un dolce incubo – è la mimesi dell’altra – è come parlare con un muro – non è servito a niente – c’è sempre un vetro – Quien sabe…

Comunque niente a che vedere con te…
È
da un po’ che non ballo… come voglio io…

Odalisca o Bellissima.
Domingo. È passato molto tempo. Ho rivisto Giordano dopo un anno. In apparenza sempre uguale: più fatalista? Probabilmente si. L’ho intravisto di sfuggita, per strada il mio caro amico carpintero con il cuore fuori controllo. Lo volevo salutare. È corso via, di fretta su un vecchio scooter facendomi cenno con il braccio: a dopo… A dopo quando…?

Lunes. Sono andato a piedi al suo laboratorio: chiuso, cerrado, nessun segno, nessuna indicazione, tipo: torno subito, sono in vacanza, sono morto, o che altro. Chiedo ai vicini: il gommista non sa nulla, la ragazza con gli occhiali dell’agenzia di viaggi nemmeno. Vivono nel loro mondo e non ne vogliono sapere di quello degli altri.

Martes. Sparito volatilizzato. Il giorno dopo di buonora in treno a Quilmes: il biglietto costa un terzo dell’autobus. Suono il campanello di casa. Silenzio. Risuono. Una signora, una nonna con una bambina tenuta stretta per mano apre la porta di questa palazzina malandata in stile coloniale: le chiedo di Giordano. Non mi risponde. Insisto, non voglio infastidirla: – il carpintero?
– No se…
È tutto, non mi dice altro. Resto di sasso non so cosa fare.

Capplegnami_Baires_Casa_

Di ritorno passo davanti a Bastiano: lo vedo da fuori, mi ha visto da dentro. Molla un cliente con il cono in mano, esce: mi chiama con il braccio. Non accettare un suo invito è impensabile. In un baleno gli sono davanti.

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Salon Catedral

Capplegnami_Baires_Salon Catedral

25.0 – Mucho peligro – luogo per educande – dentro il mai visto – imperterrite con tacco dodici – solo agua con gas – dalla testa ai piedi.

È come se non ballassi…
Non cambiare il modo di ballare…

Terzo viaggio.
È sabato: sera o notte? Qui il tempo va per conto suo. È facile confondere e confondersi. Appuntamento alle 22.30 alla stazione. Siamo in otto. In treno fino a Constitucion. Cosa da non fare se si è da soli: mucho peligro. Poi media ora di colectivo 151. Barrio di Almagro, all’esquina fra Corrientes e Medrano. Due quadras e siamo davanti alla nostra meta. È mezzanotte. Ci siamo adeguati agli orari dei porteños.

Milonga La Catedral o Salon Catedral: varchiamo l’ingresso. Sembra di essere in uno di quegli edifici occupati da homeless o gruppi spontanei di protesta o una comune di hippies anni sessanta.

Saliamo scale diroccate, rovinate, rappezzate: parte cemento, parte metallo. Veinticinco pesos: sempre quelli. Siamo nell’anticamera dell’inferno. L’Indipendencia di due sere fa, in confronto è un luogo per educande.

Questo è l’antro di un diavolo porteño. Una caverna di oggetti, cose e materiali recuperati da discariche, soffitte, rigattieri, cambalaches, angoli di strada, mucchi di basura, vecchi cantieri, macerie.

Capplegnami_Baires_Guardarropa_

Questo è l’arredamento, questo è l’ambiente che Eric il maestro ha scelto per noi. Siamo dentro il mai visto. Amedeo apre la bocca incredula: – non pensavo che un posto del genere esistesse -. Non parlerà per tutto il resto della nottata.

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Noche a San Telmo

Capplegnami_Baires_Abbraccio

24.2 – Cochabamba 444 – inicio classe hs 20 – geroglifico egizio – cadente, molto off – l’ora dei porteños – musica en vivo – dobbiamo tornare indietro – terrina di pesche al limone.

Mi manca di ballare… uno strazio…
Ci rifaremo…

Terzo viaggio.
Eric il maestro del circulo ci propone di andare l’indomani a San Telmo alla milonga 444 in Cochabamba stesso numero civico. Siamo tutti d’accordo. Dice che di jueves c’è un sacco di gente e si balla alla grande.

Il giorno dopo su FB Isabela declina: si deve alzare la mattina presto e non può fare tardi. Idem Gabriela. Anche Eric per non essere da meno, all’ultimo ci ripensa e tira il pacco: impegni famigliari. Matilda invece conferma: ha voglia di tango, questa sera vorrebbe ballare. Bueno, si va. Appuntamento alle 19 davanti alla fermata del 22 a Bernal. I soliti quarenta minutos di sobbalzi: per fortuna abbiamo saltato la cena. Il nostro colectivo preferito non scherza e non si smentisce.

Vogliamo beccare la classe dalle otto alle dieci, così socializziamo con gli altri e qualcosa impariamo. Chiuso, sprangato a meno di cinque minuti dall’apertura. Siamo a Baires: gli orari sono elastici. Non ci resta che attendere. Un bar a due passi ci serve quattro agua con gas.

Capplegnami_Baires_Sequenza

Ezio torna fuori a controllare. Dopo una decina di minutos ritorna, preso al guinzaglio da un essere a metà tra un cetaceo ed un crostaceo. Lo guardo: – perché te la sei portata dietro, sei impazzito?
– Era sola davanti all’entrata, vorrebbe provare il tango, sarebbe la sua prima volta.

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Nostalgia

Capplegnami_Baires_Sorridi

24.1 – Libro chiuso – punta e clicca – nebulizzata e rinfrescante – giubilados y pensionados – cinque mujeres – come fa un’acqua a rompersi…? – conflitto all’arma bianca.

Eravamo stanchi… abbiamo camminato tutto il giorno per Baires…
Ho ballato parecchio più che altro allenamento…

Terzo viaggio.

Nostagia
Riprendo a scrivere. Sono rimasto bloccato, intorpidito per quattro giorni: l’effetto della nostalgia. Pensavo di esserne oramai immune, di aver sviluppato tutti gli anticorpi del caso e invece no. Ho ceduto anche stavolta.

Uno stato di sterilismo (neologismo…? bu…!?) cerebrale sovrapposto a milioni di pensieri, uno attaccato all’altro come le pagine di un libro chiuso: c’è un sacco di roba scritta a cui poter attingere, ma non ti riesce. La nostalgia è questo: non poter aprire il libro e cominciare…

Capplegnami_Baires_Tangos_

Foto
Nel frattempo ho scattato foto, punta e clicca. Non fa per me. O fai foto o guardi e vedi. Non puoi fare entrambe le cose. Non si può guardare dentro un mini display, o chiudendo un occhio, attraverso un mirino. (Due occhi sono già pochi, non è pensabile chiuderne uno). Si vede tutto piccolo come Gulliver durante i suoi viaggi.

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Nueve a uno

Capplegnami_Baires_Jardin

24.0 – La forza dell’abitudine – nivel excelente – capelli nero fuliggine – todas para vos – grandi camminate – sante o stupide – nel corridoio d’entrata – vecchie infradito ai piedi – dimentico di pagare.

Ti piomberanno addosso come lupi…
Sono contenta che mi hai scoperta…

Secondo viaggio.
Non ritorno. Se le cose stanno come mi è successo l’altra sera, dovrò pensarci.

Anni addietro esisteva la via della seta, ora a Bernal esiste la meno impegnativa, ma non meno importante, via del gelato: va dalla casa bianca dove abitiamo all’esquina in fondo alla Nueve de Julio. In quel punto si trova il nostro gelato preferito: all’acqua, solo ingredienti naturali, buonissimo…

Ogni giorno percorriamo obbligatoriamente questo tragitto, fatto di una decina di quadras. Il sistema delle strade organizzato a quadras, permette infinite varianti fra un punto di un percorso e l’altro. La forza dell’abitudine ha facilmente la meglio sulla fantasia e la voglia di cambiare. Succede che un tragitto più degli altri diventa quello standard, quello che, pur senza alcuna ragione, è usato più di sovente.

Lungo questa via al gelato, mas o meno a metà della fatica, c’è un “circulo catolico”. Da qualche giorno incollato al portale in legno massiccio del circulo, un volantino a caratteri cubitali, nero su bianco, grafica zero, stringato nello stile quanto nel messaggio: miercoles Hs 20:00 classe de tango, nivel excelente.

Capplegnami_Baires_Bernal

Passa e ripassa, leggi e rileggi, la curiosità ha la meglio: decido di andarci. Mercoledì sera all’ora stabilita mi presento. Maestro giovanissimo, si e no veinticinco años, carnagione più scura della mia, capelli nero fuliggine appena ondulati, occhi simpatici più scuri del nero di seppia, vestito modestamente e un po’ trasandato, più timido di me, non sa una parola che sia una di italiano. Io di castellano ne saprò in tutto una trentina. Ci intendiamo al volo. Venti pesos per un’ora e mezza di lezione collettiva.

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Vals o milonga?

Capplegnami_Baires_Club_Gricel

23.2 – Barrio degli italiani, dei genovesi – giornali scaduti – birra come fosse champagne – invitata a man bassa – le scarpe mi fanno impazzire – dopo il grande freddo – fermarsi fino alla chiusura.

Quando torno balliamo.
Quando…?

Secondo viaggio.
Buenos Aires non può essere presa sul serio perché non è mai uguale a se stessa. I suoi riferimenti cambiano ad una velocità superiore a quella del tempo. I suoi luoghi hanno perso la connotazione originale e sono altro: La Boca era il barrio degli italiani, dei genovesi. Pur continuando ad essere la zona franca dell’immigrazione, haora è rifugio sicuro per paraguagi ed altre genti sudamericane.

Gli immigrati, nostri ex connazionali hanno mantenuto il cognome originale di marca italiana, mentre per i nomi, sono stati adottati, per decreto o per omaggio alla nuova patria, quelli di matrice spagnola: ci sono mille Juan, nemmeno un Giovanni.

Camminando lungo Corrientes abbiamo incontrato un’edicola sui generis: in vendita solamente copie di giornali scaduti. Numeri pubblicati molti anni addietro, fino ottocento, primi novecento o in date salienti della vita e della storia di questa città: emblema e sinonimo assoluto di Argentina.

Questo paese probabilmente non esisterebbe se Baires non fosse state fondata. Baires ha la suerte dalla sua parte. Il tango, senza nulla pretendere in cambio, le ha donato il privilegio di essere la città più bella della via Lattea, perché qui c’era già tutto: per fecondare, crescere e creare.

Incantesimo o destino: come ad Atene ai tempi di Pericle, o a Firenze durante la guida di Lorenzo il Magnifico, o nella Parigi dei primi novecento all’epoca delle avanguardie storiche.

Capplegnami_Baires_Amedeo__

Vedi – mi dice Hector Bossi, un milonguero di circa settant’anni ottimamente portati, impeccabile nel suo blazer blu, che tre sere fa ci ha accompagnato con la sua macchina al Club Gricel, uno dei posti sacri, laicamente parlando, della tangueria di Baires, fra Boedo e San Cristobal – negli anni quarenta y cinquenta è successo di tutto.

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La Chacarita

Capplegnami_Baires_Chacarita

23.1 – corpi senza anima – marmo bianco di Carrara – los otros donde están? – non ne conosco uno – non riesco a ricordare – più giù non si va – deviazione in un ramo secondario – tifosi che omaggiano il defunto – torno tra i vivi.

Balliamo?
Non fa niente se non balleremo…

Secondo viaggio.
Subte per La Chacarita il più grande cimitero di Baires e del Sudamerica, per un saluto da vicino alle spoglie di Osvaldo Pugliese e compagni.
L’entrata principale è in stile aulico. Appena dentro: le tombe monumentali. I cognomi sono in maggioranza di origine italiana. La sensazione è di pace e tranquillità: non scherzo, è proprio così. La vastità del posto, e la quantità di marmo scuro lavorato, influiscono sullo stato d’animo. La morte si vede e si sente.

I viali fra le file di monumenti funerari sono più larghi di quelli di Recoleta. Allungo lo sguardo, trovo una dirittura libera: la vista si perde, i confini di questo immenso recinto di corpi senza anima vanno oltre i miei occhi.

Abbiamo camminato un centinaio di metri: da che parte procedere? A chi chiedere…? A quel signore con la barba grigia e gli occhiali. Sembra gentile e ben disposto. Proviamo. Ci risponde con la sicurezza di chi sa, e con la disponibilità di chi vuole dare una mano: – vi accompagno io.
Sorpresi, acconsentiamo: avremmo preferito muoverci in libertà senza nessuno fra i piedi.

Ci racconta del nonno calabrese arrivato da queste parti nei primi del novecento. Amedeo un po’ ingenuamente gli chiede se è un addetto del cimitero. Certo che no – risponde – faccio l’avvocato e sono qui per fare visita ai miei cari.

Giungiamo ad una esquina: base in marmo bianco di Carrara, numerose targhe, una appiccicata all’altra, statua in bronzo oversize ben oltre la grandezza naturale. Siamo davanti alla tomba di Carlos Gardel, il zorzal di Buenos Aires, uno dei simboli di queste città, colui che contende ad Evita e Messi, il primato di persona più amata dagli argentini.

Capplegnami_Baires_Chacarita_

Il nostro Virgilio avvocato ci racconta aneddoti e dettagli: molti sono di pubblico dominio. Non importa, siamo contenti, perché è entrato nella parte e la sua voce è suadente e facile da ascoltare e anche da capire. Ci indica con l’indice, la cicca di una sigaretta vera, con il filtro amarillo, presente come vuole la consuetudine, in precario equilibrio fra le enormi dita in bronzo della statua.

E los otros? – Gli chiedo – Donde están?

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Due stanze in sei

Capplegnami_Baires_Erosion_De_Las_Aguas

23.0 – Conoscere e socializzare – senso compassionevole – nulla con cui sostenersi – su e giù per la spiaggia – gelataio e idraulico – mai fidarsi delle banche – due anime – fare la carità?

Balliamo?
Adesso…
sono bloccata…

Secondo viaggio.
A Baires ho conosciuto Fernando. È un collega di Bastiano il nostro amico, titolare di alcune gelaterie. Una di queste in particolare è la nostra preferita, dove trascorriamo diverso tempo a conoscere e socializzare con i locali.

Fernando giunto con i genitori dalla Campania una sessantina di anni fa, viene di tanto in tanto a fare visita a Bastiano: sono amici, fanno lo stesso mestiere. Non sono concorrenti perché le tre gelaterie di Fernando sono fra Palermo, Recoleta e Barrio Norte, dalla parte opposta di Bernal.

Fernando è un grande affabulatore. Quando ci incontriamo, senza alcuna esitazione, si siede al nostro tavolo e mentre arraffa una mega coppa di gelato di Bastiano, è felice di intrattenerci con l’epopea della sua famiglia. A forza di vederci abbiamo stretto un legame reciproco, fatto di affetto, simpatia e fiducia: siamo diventati amici.

Se siamo dalle sue parti non manchiamo mai di andarlo a trovare. Spesso passiamo da una all’altra delle sue gelaterie pur di incontrarlo e scambiarci quattro chiacchiere.

Il nostro nuovo amico è provvisto di un profondo senso compassionevole verso coloro che dalla vita hanno avuto solamente: sfortuna, disgrazie, emarginazione e sofferenze.

Capplegnami_Baires_In_Volo

Quando una di queste persone, senza nulla, o peggio segnate da evidenti carenze nel raziocinio, entra in gelateria o si avvicina ad uno dei tavolini posti all’esterno, se Fernando è presente, si dimostra subito premuroso: scambia qualche battuta di amicizia e conforto e con un cenno della mano a uno dei suoi dipendenti o anche direttamente, offre al malcapitato una coppa di gelato o degli ottimi dolcetti fatti nei suoi laboratori.

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Bellissima e Gattomatto

Capplegnami_Baires_Buddha

Il carpintero e l’odalisca. 19 – fogli scritti – fogli dimenticati – cambiare aria – la sua terza vita – cuore gonfio – non posso volerti – nuove scoperte – di reincarnazione in reincarnazione – Cielo e Vento – puro e integro – Un lapsus, nient’altro che un lapsus.

Devo ballare…
La vedo dura…

– Entra…
– Com’è…?
– Bueno…
– Oggi sei loquace… Aspettavo un’email, una telefonata, avevi promesso che ci saremmo sentiti, che avresti scritto…
– Non ho scritto, ho fatto il falegname: è la cosa che mi riesce meglio.
– Vedo che ti stai ammazzando di lavoro…
– Mi sono appena seduto, ho trovato questi fogli scritti a mano dentro un cassetto interno, in quella madia. La devo rimettere in sesto per la prossima settimana.

– E l’odalisca?
– Non so.
– Che significa?
– L’ho persa di vista.
– Tutto qui…?
– Tutto qui!
– Capisco… Che c’è scritto in quei fogli?
– Non sono pratico di calligrafie. Questa sembra quella di un tacchino.

– Dà a me… fammi vedere… Sembra una storiella di quelle inventate. Con l’immaginazione si può tutto, anche scalare il Chomolungma o il Sagarmatha…, senza sapere cos’è una corda fissa o un chiodo da ghiaccio. Anche senza aver mai comperato un biglietto d’aereo o sfogliato un libro di viaggi.
– Se è così facile, come dici, puoi anche ballare un tango e non avere mai messo piede dentro una milonga.
– Non credo…
– Mi pareva…! Questa è l’unica eccezione: il tango o lo balli per davvero o non lo balli. Non lo puoi immaginare. Impossibile.

Capplegnami_Baires_Sarasvati

– Faccio pausa. Prendi due barattoli. Dentro quel secchio di plastica con l’acqua. In laboratorio non ho altro per tenerli in fresco.
– Ok.
– Comincia a leggere.
– Sei curioso?
– Per nulla, sono fogli dimenticati da chissà chi. Non devono avere nessuna importanza. Persi o abbandonati e piegati senza un ordine dentro un mobile pronto per la discarica. Magari il tacchino che li ha scritti si è sbagliato.

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A piedi di notte

Capplegnami_Baires_Ideal

22.2 – Confiteria Ideal – devuelve i pesos – la notte di Baires – Correo Central – Un portico dormitorio – barba pungente di tre giorni – mezzo chilo di gelato.

Non si può ballare con chiunque.
Con chi allora…?

Secondo viaggio. Pare che la Confiteria Ideal, uno dei luoghi simbolo del tango di Baires, si sia impantanata in una fase di perdurante declino.

Pochi ci vanno, neanche vi fosse pericolo di qualche contagio. Forse è la fama esagerata che si è creata attorno a questa milonga a decretarne l’ostracismo: il luogo  è considerato troppo turistico.

L’altro pomeriggio sul tardi, dopo essere stati a zonzo per Esmeralda, Lavalle, Florida e Corrientes, abbiamo fatto una capatina a Suipacha, lì a due passi, proprio alla Ideal.

Milonga pomeridiana: ventitré pesos per entrare nel bailongo più famoso del pianeta. Saliamo al primo piano: ninguno. Solo la musica di un Di Sarli struggente proveniente da un impianto scadente.

Lo stupore per il vuoto che abbiamo davanti riempie i nostri occhi: increduli. Per qualche istante indugiamo sul da farsi, non di più. Riscendiamo le scale, per chiedere spiegazioni alla bigliettaia. Costei gesticola con le mani e blatera parole che non comprendiamo. Le chiedo se ci devuelve i pesos che abbiamo sborsato, vorremmo andarcene: non fa una piega, li prende dalla cassa e ce li ridà. Usciamo.

Sono quasi le otto di sera: andiamo a cercare una parrilla dove poter mangiare un choripan e bere una coca. Finalmente ci sediamo. Il posto è di quelli per soli turisti, dove non vorresti nemmeno fermarti a dare un occhio al menù sulla strada. Chi se ne frega, ci portano delle papas españolas buonissime.

Dopo un’ora y mieda ci ripresentiamo davanti alla Confiteria. Fra non molto dovrebbe iniziare la milonga serale. È ancora presto. Nessun movimento. Ci facciamo ancora un giretto nei dintorni.

Fidarsi è bene, non… Di ritorno restiamo in piedi sull’altro lato della strada in attesa che qualcuno, più audace di noi, paghi il biglietto. Anche stavolta nessuno entra. Qualche curioso, si sofferma sull’entrata, finge, pensa, ripensa e se ne va.

Capplegnami_Baires_Rosada

Dopo mezz’ora Amedeo si è fumato quattro delle sue sigarette residue: ha deciso di smettere proprio qui a Baires e l’ultimo pacchetto a disposizione è mezzo vuoto. Stufi di aspettare ce ne andiamo. Questa notte la gente tanguera di Baires ha abbandonato la Ideal. E noi con loro. Le alternative non mancherebbero. Che fare? Amedeo è stanco e nervoso a causa di questi contrattempi.

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Cuore schiena e pancia

Capplegnami_Baires_Ninfa_e_Satiro__

Il carpintero e l’odalisca. 18 – Prima email – una palla una scusa – diesel assordante – bianco avorio – inganno e abitudine – arrendersi – comunque un placebo – scettico e dubbioso – attimo dopo attimo – senza grasso apparente – espressioni istintuali – vaga sensazione.

Non ci vedo nulla di male, anzi…
Non ti so dire se mi è piaciuto di più o di meno…

Otto emails

È domenica: sveglia alle otto e mezza. Corro in cucina, caffè bollente, spremuta di arance: il suo gusto è preferibile a quello di un bacio, qualsiasi bacio. Secondo caffè fumante. Breakfast liquido.

Controllo: c’è il wifi, il nostro vicino fantasma ha acceso il router e l’aria di Baires porta il suo segnale fino a noi dall’altra parte del muro di cinta, fino a me. Il mio iPad scarica come un treno le emails in arrivo. Poche spam, i filtri che pazientemente ho attivato funzionano.

Non ho tempo di sfogliarle tutte, mi interessano solo quelle di Giordano il nostro amico carpintero che da un po’ di tempo ha scelto l’esilio dalla nostra casa.

Prima email: – vieni a trovarmi: solo tu, scriverti è faticoso.
Seconda email: – le parole parlate sono più leggere di quelle scritte. Ho voglia di leggerezza. Quando vieni suona a lungo, non voglio aprire la porta ad un estraneo.
Terza email: – portami da mangiare, ho fame. Anzi no, potremmo andare in bici verso sur e fermaci prima del Rio in qualche parrilla ambulante sulla strada. La carne a mezzogiorno non è ancora carbonizzata e a quell’ora la polvere non si è alzata.
Quarta email: – possesso… che?
Quinta email: – ti devo parlare di cuore, di tango e di note.
Sesta email: – voglio tediarti: di nuovo della sua schiena.
Settima email: – ho scoperto la sua pancia.
Ottava email: – che cazzo fai? Sei ancora lì? Muoviti per dio! Lascia perdere le mie emails!

Capplegnami_Baires_Tiziano_Ninfa_Pastore

Ad Amedeo tocca il compito di decidere il programma della giornata. In genere accondiscendo senza fare una piega, lui sa perfettamente, dai discorsi della sera prima, cosa mi piacerebbe fare l’indomani. Pertanto oggi niente lavori di manutenzione casalinga. Mentre sorseggio il secondo caffè con l’ipad sulle ginocchia, Amedeo sentenzia: back to San Telmo.

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Empanadas sotto chiave

Capplegnami_Baires_Empanadas_

22.1 – mezza porta di servizio – lasciare perdere e telare – laboratorio prigione – Osvaldo Fresedo – tornare a scuola – forma e il metodo – descapacitados dell’ultima ora.

Si dicono tante cose… e si dimenticano subito.
Che bello… ho un po d’invidia…

Empanadas

Secondo viaggio. Baires, barrio di Bernal. Ho scoperto che di fronte a casa a non più di venti metri, all’esquina con Maipu, c’è un laboratorio artigianale di empanadas. Le serrande a rete di robusto metallo a maglie larghe sono sempre giù.

L’aspetto del posto è chiuso fisso, sprangato, anche quando verso le sette di sera le luci all’interno si accendono e dalla parte superiore non smerigliata dei vetri si scorgono due persone indaffarate. Lo scorso anno lo abbiamo sempre ignorato ed evitato. Non saprei dire perché. Questa volta no.

L’altra sera, più che altro incuriositi e senza nessuna aspettativa, verso le venti abbiamo bussato sui vetri: una giovane donna è venuta ad aprirci e dopo avere girato la chiave per due mandate ci ha fatto entrare dalla mezza porta di servizio, ricavata nella saracinesca dalle abili mani di un fabbro.

Per entrare ci siamo abbassati, altrimenti avremmo battuto la testa. Infatti all’uscita una legnata alla nuca ha lasciato il segno per qualche giorno. Alle nostre spalle la ragazza ha prontamente richiuso di nuovo a chiave. La sensazione, durata un attimo, è stata di avere perso la nostra libertà.

Capplegnami_Baires_Sdraietta_

L’altra donna, più in là con gli anni, con l’espressione del volto gentile e disponibile, si è quasi scusata, spiegandoci che stanno sempre chiusi anche quando, contro ogni apparenza sono aperti.

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Il cicisbeo e l’odalisca

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Il carpintero e l’odalisca. 17 – A quale età – bieca e fredda apparenza – condivisione a due – il tango fa cilecca – l’odalisca è una fonte – richiamo della foresta.

Finalmente ho potuto ballare come avevo in mente di fare…
Non sarà la stessa cosa andare in milonga…

– Quanti anni ha?
– Perché lo vuoi sapere?
– Come… perché? Visto che di lei non ci vuoi dare nessun ragguaglio, vorremmo almeno inquadrarla temporalmente, siamo curiosi di sapere a quale età una persona è in grado di esercitare su un cicisbeo qualsiasi come te, un potere di attrazione così intenso e totalizzante? Sul nome, visto che non ce lo vuoi dire, abbiamo messo una pietra sopra!
– Non ha nome!

– Smettila con questa messinscena! Non sappiamo di che colore sono i suoi capelli, la sua pelle: chiara, scura? È alta? Quanto? Insomma… gli anni?
– Intorno alla quarantina. Io la vedo così. Se sono di più o di meno non ha alcuna importanza. I suoi occhi, il suo corpo, le sue parole sono quelli di una giovane quarantenne.
– Apriti cielo, finalmente un dettaglio e non quelle sciocchezze pseudo-sentimentali che ci hai rifilato fino ad oggi.

– Ragazzi vado… mi avete rotto.
– Aspetta dove corri…?
– Ci sentiamo più avanti. Oggi a Quilmes c’è mercato.
– Come… più avanti? E i lavori che mi devi fare per la casa?
– Ti farò sapere…
– Ha sbattuto la porta, se n’é andato?
– Vedrai che torna. Lasciamo passare qualche giorno…

Capplegnami_Baires_Venere_Italica

Gli incontri e le conoscenze non nascono mai per caso.

– Ha scritto un’email. Controlla la posta in entrata. L’ha indirizzata ad entrambi.
– Non ho né tempo né voglia. Fammi un riassunto.
– Non viene.
– Che ha detto?
– Non vuole più raccontare. Si è messo in testa che ci divertiamo a prenderlo in giro. Sostiene che il nostro atteggiamento nei suoi confronti è insopportabile: molto simile allo stato di eccitazione di chi non vede l’ora di sorbirsi la nuova puntata di uno sceneggiato in televisione.

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Basura e WiFi

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22.0 – Dodici mesi dopo  – cambio di prospettiva – lascito spontaneo – tre onde piene – WiFi misterioso.

A ballare… questa sera?
A costo di venirci a piedi.

Basura

Secondo viaggio. Le strade e i marciapiedi di Bernal sono come li ho lasciati dodici mesi fa: costantemente pieni di ogni sorta di basura. Non ci faccio più caso perché ho imparato a non meravigliarmi di quello che vedo depositato sulle vie del barrio.

Non è la comune spazzatura, quella che noi definiamo con questo termine e non è neppure un abbandono su suolo pubblico di una parte di nostri rifiuti. La realtà è ben diversa da come pare a prima vista. I mucchi sulle strade sono sostanzialmente avanzi, tracce della nostra presenza.

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Bisogna cambiare prospettiva al nostro modo di vedere e di giudicare. È un processo mentale che matura via via, un apprendistato di vita sul posto. Convincersi che non si tratta solamente di una discutibile consuetudine è solo questione di tempo. Una mattina ti svegli, esci in strada a correre facendo il periplo di due dozzine di quadras e ti accorgi che i cumuli sparsi qua e là sono parte di un modo del tutto originale di intendere la vita sociale ed i suoi rapporti.

In altre parole è un aspetto della cultura locale, intesa come somma di azioni che si compiono da mattina a sera. Diventa normale mettere a disposizione della comunità ciò che per qualcuno è diventato obsoleto: lavatrici fuori uso, materassi e divani consunti, vecchi stereo, ecc. I marciapiedi sono vetrine a cielo aperto dove chiunque espone, con spontaneità e senza alcun disegno ciò che in casa non ha più un suo posto.

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In partenza, di nuovo…

Capplegnami_Baires_Baires

21.0 – Ripartire – cambio di prospettiva – gente di Baires – seconda casa.

Quando avrò imparato a ballare il tango, ti lascerai invitare?
A quell’epoca i miei pronipoti non mi permetteranno di uscire la sera.

È trascorso un anno. Presto sarà ora di ripartire e ritornare. Per la seconda o la terza volta…, non fa differenza. Amedeo ha già preso on line il biglietto. Ho deciso: torno a Baires con lui. Anche stavolta. Dopo un attimo di indugio anche il mio ticket Iberia è acquistato.

Perché ripartire? Perché Baires è rimasta nel cuore. Per questo è più forte il sentimento di un ritorno piuttosto che quello di una partenza. Se qualcuno me l’avesse predetto, non gli avrei prestato attenzione.

Non un semplice cambio di idee. Il dolore dello stare lontano da casa ha smesso di essere all’ordine del giorno. Una parte di convinzioni che a lungo andare mi ero fatto, hanno cessato di ardere. Il loro fuoco si è spento, sono state accantonate, messe in un angolo, obsolete, esaurite. La nostra storia è una sequela di questi esempi: si chiamano sostituzioni.

Molti pezzi di me hanno fatto la stessa fine delle audio cassette all’avvento dei cd: pur ancora funzionanti, depositate in cantina dentro una scatola e dimenticate sui ripiani bassi delle scaffalature, in attesa che un’acqua alta qualsiasi se le portasse via, facendo per noi quello che non abbiamo avuto il coraggio di fare.

Capplegnami_Baires_Obelisco

Mancano poche settimane. Devo sbrigarmi con le ultime cose. Questa volta non è solo il tango a farmi andare: c’è altro. C’è Baires e i suoi porteños. Impossibile dimenticarli, impossibile starne lontani. È una nostalgia al contrario.

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I proci e l’odalisca

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Il carpintero e l’odalisca. 16 – Puerto Madero – quelli nati dopo – un caso disperato – chimica ed elettrica – un tordo in un roccolo – ben poco da rimuovere – inspiegabile e unico – tangheri da strapazzo – la scoperta dell’America – Plaza Dorrego.

Ti piace Klimt?
Si… a me piace Picasso.

– Era ora che ti facessi vivo, è da più di tre ore che ti aspettiamo. Il pranzo assieme è saltato, che si fa? Meno male che Puerto Madero è uno dei luoghi più suggestivi di Baires e stare in questo posto in tua dolce attesa non è stato un problema. Sarebbe bastata una telefonata, forse un sms? Troppo?

– Ciao Amedeo, ciao… Mi sono alzato di buon’ora come sempre. Una tazza grande piena di caffè… forte. Il divano era lì, mi sono perso. Un’ora o poco più. Poi mi è venuta voglia di sgranchirmi, di prendere aria sulla fronte. Detto e fatto. Un giro in bici prima fra le stradine del parco di Quilmes, poi verso il Rio a guardare l’acqua, la sabbia scura, i pescatori, i bambini che scappano dai genitori che urlano. Cominciavo a stare bene e mi sono ricordato di voi due…, che mi stavate aspettando. Eccomi qua.

Capplegnami_Baires_Picasso_Tête de faune

– Se oggi tu non avessi dovuto lavorare che avresti fatto? Un giro sulla luna?
– No sarei andato in cerca dell’odalisca, casa per casa, barrio per barrio, a chiedere a destra e manca finché non l’avessi trovata.
– Chi te lo impedisce? Puoi cominciare adesso, da qui. Laggiù è pieno di campanelli… Bene la prima cazzata l’abbiamo sentita, ora se puoi torna in te. Sul treno ti abbiamo cercato, vagone dopo vagone, non vedendoti abbiamo capito del pacco. Poco male.
– Mi dispiace.

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Iside y Gabriela

Capplegnami_Baires_Pinchos

20.2 – Alimentari di qualità – la dea egizia – Pantheon di ricordi – cena da Gabriela – Palermo Alto – un’arca di verde e altri colori – due donne che non cucinano – due caffettiere: una da sei e l’altra da dodici – inchiostro stilografico blu – remis y taxi.

Non posso lamentarmi…ho ballato parecchio.
Ballare tanto per ballare mi interessa sempre di meno…

Secondo Amedeo, a Baires non si trovano generi alimentari, di buona qualità, quelli a cui siamo abituati e affezionati: pasta, caffè, olio d’oliva, affettati, formaggio, porcini secchi, farina per polenta, ecc. Amedeo è un po’ prevenuto, non mi so spiegare il motivo. Qui c’è di tutto, e tutto quello che c’è, è squisito. Bisogna, come sempre, saper cercare e saper scegliere.

L’altra sera siamo stati invitati a cena da Iside l’insegnante di spagnolo di Amedeo. Donna affascinante, dal portamento regale, come la dea egizia, di cui porta il nome. Venerata in tutto il bacino del Mediterraneo, rese le donne forti e potenti quanto e più dei maschi.

Iside abita a cinque sei chilometri da Amedeo, sulla Dardo Rocha – arteria di grande transito che porta al sur – in una casa linda e curata, piena di ogni cosa. Queste cose – siano esse oggetti di utilità o di ornamento, mobili o suppellettili – sono state scelte e accostate per esaltare il volto gentile e umano del kitsch: ricercato e allo stesso tempo spontaneo, quello che viene direttamente dal cuore senza altre mediazioni.

Capplegnami_Baires_Vino

Il gusto è quello di una donna che della sua casa ha voluto fare un Pantheon di ricordi lontani e vicini. I segni di una vita vissuta con pienezza: voglia di fare, di conoscere e sperimentare. Iside è un’artista: dipinge, e dà ai vetri colorati le sembianze del Liberty e del Decò.

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Scarpe (da Tango)

Capplegnami_Baires_Puente_A

20.1 – Scarpe in pausa pranzo – in trappola dentro un condominio – una signora angelo.

Un abbraccio può far meglio di una medicina…
Gli abbracci servono sempre…

Siamo a Riobamba in pieno centro fra avenida Cordoba e Corrientes. Avevo già sperimentato in occasione di una cena a casa di Gabriela che le norme di sicurezza che regolano l’entrata e l’uscita dai condomini di Baires sono molto rigide.

Un sistema basato su logica ed efficacia che alla prova dei fatti si è rivelato pieno di falle: un colabrodo. Qualche giorno fa ho convinto Amedeo ad accompagnarmi da un rivenditore di scarpe da tango: le mie preferite. Come avrei potuto tornare da Baires senza un nuovo paio di scarpe.

Oltretutto il risparmio sul prezzo – parlo delle stesse identiche scarpe: marca e modello – rispetto all’Italia, è esattamente di due terzi. Posso capire i costi di importazione, stoccaggio, assortimento numeri, colori, e modelli…, ciononostante pagare in Italia centocinquanta euro contro i cinquantadue di qui, equivale alla metafora di una “rapina”.

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Su internet l’indirizzo di questo posto delle scarpe, è indicato al decimo piano. Sarà… – ho pensato. In effetti quando siamo arrivati a destinazione, seguendo alla lettera tutte le indicazioni di Maps sull’iPhone, ci siamo ritrovati davanti alla porta sprangata di un condominio.

Internet segnalava l’orario continuato, quindi anche se in quel momento erano le tredici in punto locali, senza alcuna esitazione, abbiamo suonato il campanello con la sigla composta dal numero e dalla lettera dell’alfabeto riferiti alla ditta di scarpe. Nessuna risposta. Di nuovo, drin… drin… Niente di niente. Cavolo che si fa? Non saremo venuti fin qua per niente?

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Ida y vuelta

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20.0 – Ida y vuelta – nuvole e corrientes – esmeralda – tango e candombe – altre genti.

Vorrei invitarti a ballare.
E io vorrei che non lo facessi.

Se a Baires abiti a trenta chilometri dal centro, ida y vuelta sono le parole magiche che scandiscono la sequenza dei tuoi spostamenti.
Andata e ritorno detto in castellano, seguito dal nome della destinazione, è la frase che si pronuncia in ogni boleteria, per comperare i biglietti dei vari mezzi di trasporto.

Sembrano i nomi di due donne e invece sono due palle infinite. Un mantra che non ha nulla di mistico, ripetuto ogni giorno, più volte durante la stessa giornata alla fine della fila. Non un’invocazione, bensì una necessità.

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Mi è capitato di stare steso a terra su un asciugamano, con a fianco un bicchiere pieno di qualcosa a guardare verso l’alto: con la testa sotto le nuvole e non sulle nuvole come invece si usa dire. I miei Ray-Ban squadrati attutiscono la luce e falsano la prospettiva allo sguardo, appiattendo la distanza.

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La odalisca y el bandoneon

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Il carpintero e l’odalisca. 15 – profumo di odalisca – el bandoneon – a occhi chiusi.

Ti piace Picasso?
A me piace Klimt.

Profumo di odalisca.

– Rispondi…!
– Ola…?
– Era ora…, è da un po’ che ti cerchiamo.
– Stavo grattando. Devo levigare un vecchio tavolo in legno di quercia con inserti in teak. Ho lasciato il cellulare dentro una tasca dei calzoni sull’attaccapanni vicino alla porta: non ho sentito lo squillo. Che c’è?
– Noi domani torniamo a Puerto Madero. Il puente de la mujer è così poetico, vogliamo rivederlo. Ci manca.
– Vi manca un ponte? Siete fuori…

– Strano che tu non capisca. Attraversarlo a piedi ti riempie di meraviglia e di buone sensazioni. Quando ci sei sopra sei talmente preso dalla sua armonia architettonica, da dimenticarti di tutto il resto. Hai l’idea di restare sospeso, la stessa che ti viene spontanea quando lo guardi da una certa distanza. Ti senti a contatto con la bellezza.
– Se va bene a voi…?
– Possibile che non c’arrivi? Volevamo chiederti di accompagnarci. È il ponte della donna, della milonguera: appesa, quasi aggrappata al suo uomo nella calesita.

– Vuoi farmi da guida? Non penso di averne bisogno tanto più se è improvvisata da uno come te. Se non dovesse esserti ancora chiaro io sono porteño e Baires è la mia città: dove sono nato e cresciuto.
– Visto che da un po’ ti si è completamente fuso l’apparato pensante, e non solo, per una donna, si pensava che non ci fosse posto migliore per proseguire nei nostri… tuoi racconti. Hai notizie dell’odalisca?
– Anche se volessi, non potrei. Non domani È un giorno feriale e devo lavorare, altrimenti me lo spieghi come farò a tirare avanti.

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– Guarda che Amedeo, ti apprezza molto come falegname, oltre al fatto che ritiene tu sia a buon prezzo. Quando ci porterai il conto ha intenzione di proporti un sacco di altri lavori per la casa. Da quanto ne so ne avresti per due buone settimane, dandoci dentro. Ci potremmo vedere domani mattina alle nove e mezza alla stazione di Bernal. Tu arrivi da Quilmes, ci incontriamo sul treno.

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L’odalisca e la segreteria telefonica

Il carpintero e l’odalisca. 14 – papas españolas – dolcezza ineffabile – Ognuno la sua – motore sempre acceso – subalterno come tanti – quattro squilli – improperi urlati a squarciagola – la sua controfigura – le mani sui fianchi – di colore nero – strabismo mentale.

San Telmo… stasera?
Ovviamente… a dopo.

– Prova queste papas españolas sono una leccornia. Le ho mangiate in altri posti. Nessuno è in grado di farle meglio. Sono sottili, croccanti, dorate al punto giusto. Non hanno un filo d’olio.
– Perché siete così interessati a questa donna che io ho chiamato odalisca? Certo… è bella, raffinata, profumata. È pur sempre una donna come altre. Ce ne sono…, lo sapete meglio di me.

– A parte che fino ad oggi, che dico… fino ad un istante fa, hai sostenuto esattamente l’opposto.
– Ho forse mai detto che non è bella…? Raffinata…?
– No idiota, hai appena detto che è come le altre e hai fatto intendere che non ha nulla di speciale. Tutte cose che hai sempre negato, al contrario l’hai decantata fino alla nausea come una dolcezza ineffabile ed ineguagliabile.

– D’accordo non ci siamo capiti. Ho sempre inteso affermare che lei era si speciale, ma lo era essenzialmente per me. Un giudizio meramente soggettivo. Ognuno di noi prima o poi si perde dietro a una persona e quella persona diventa unica, incomparabile.

– Quindi tutto quello che hai raccontato di lei fino ad ora potrebbe non essere oggettivamente condiviso da altri? Noo… impossibile, non ti crediamo, quando ne hai parlato l’espressione del tuo viso è sempre stata quella di un invasato. Cosa ci vuoi nascondere? Perché hai usato l’imperfetto…? Hai detto: era.

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Contabilità argentina III parte

19.2 – Contabilità argentina III parte – mercatini e bancarelle – vetrinismo o cazzeggio – ricchi e presidenti – poveri e potenti – giardiniere spontaneo – decoratore di ricordi – milonguera pura – un pollo a testa.

Balli?
Ancora non so, ma ti saprò dire…

Venti sono già state impegnate. Me ne restano quattro… libere? Se voglio il tango devo approfittarne. Adesso o mai più.

Fra mercati, mercatini e bancarelle il consumo è di circa due ore al dì, una specie di prescrizione medica obbligatoria, un’immersione purificatoria imprescindibile. Dall’antiquariato vero-falso, all’usato vero, al cerebro modernariato senza latitudine, al tutto in uno: frutta, verdura, materassi, simil gioielleria, artigianato a macchina e a mano, bigiotteria, souvenir cimiteriale.

Che cosa sono il bellissimo cimitero monumentale di Recoleta e dintorni se non questo. Nel mastro mercatini va considerato a pieno titolo il vetrinismo o cazzeggio da marciapiede con scanning puntuale di ogni merce, oggetto, reliquia esposta al di là del vetro.

Prima di partire avevo altro per la testa. Un’idea fissa: una visita al Chacarita lo sterminato camposanto barocco di Baires. Alla fine il tempo è mancato e la non poca distanza da Bernal, ha fatto il resto.

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